L’arte ha il potere di risvegliare il cervello atrofizzato del mondo, ha il dovere sociale di leggere l’elettrocardiogramma (a volte impazzito) della realtà, ha la facoltà di rigenerare e modificare lo stato delle cose per riflettere sulla vita quotidianità, per creare cortocircuiti costruttivi, per edificare ponti immaginifici con discipline eterogenee e con differenti ambiti del lavoro umano. Di un lavoro che è, per l’artista, sul piano della teoria e della pratica, oggi come ieri del resto, misura critica, inchiesta ed esercizio di stile, lettura di un modello – il mondo della vita, appunto – in continuo divenire. L’arte ha, ancora, la possibilità di «dare sfogo alle angosce della propria epoca» ha suggerito Antonin Artaud (L’anarchie sociale de l’art). Di attraversare il presente e le presenze per trovare risposte, per formulare quesiti, per avanzare rotte di viaggio che rompono gli argini paludosi della realtà con lo scopo di costruire nuovi giardini d’utopia, nuove vie di fuga, nuovi scenari etici, estetici, politici.
Su queste traiettorie la mostra DO UT DES. Bastiaan Arler | Elena Bellantoni | Bianco-Valente | Devrim Kadirbeyoğlu | Luigi Pagliarini si pone come spazio colloquiale e conviviale, come terreno fertile per l’organizzazione di progetti plurali e di dialoghi necessari a stabilire raccordi e connessioni tra culture e pensieri di diversa estrazione e natura.
Partendo da una locuzione latina che indica, nell’ambito del diritto privato, un contratto di scambio (contratti sinallagmatici, a prestazioni corrispettive, che implicano uno scambio tra una cosa, o un servizio, e un corrispettivo più precisamente), DO UT DES – letteralmente io do affinché tu dia e, in senso traslato, scambiamoci queste cose in maniera ben definita – si pone come uno spazio d’azione, un territorio simposiaco che trasfigura una formula giuridica della tarda epoca romana in un contratto immaginifico il cui scopo è quello di insegnare l’arte, di avvicinare la cittadinanza ai procedimenti linguistici del contemporaneo, di invogliare al multiloquio, ad una necessaria polifonia.
DO UT DES è, difatti, un progetto che, se da una parte muove – attraverso una permanenza settimanale nel territorio abruzzese – dal desiderio di creare rapporti di partecipazione tra l’arista e le varie energie dei luoghi d’accoglienza, dall’altra nasce dallo scambio orizzontale tra l’arte e la critica d’arte per rivalutare l’ipotesi di un dialogo felice, per concepire discussioni costruttive e altrettanto costruttive strutture contrattuali (una sorta di piacevole e armonico facio ut fàcias) alla cui base è possibile rintracciare un nucleo processuale che si conclude nell’opera. Un’opera che si pone, appunto, come luogo privilegiato di un resoconto colloquiale, di un racconto visivo, di un raccordo tra il pensiero dell’artista e tutti i vari attori incontrati, conosciuti, esplorati. Con onestà e responsabilizzazione intellettuale, l’artista e il critico, assieme all’ambiente culturale e industriale del pescarese, strutturano dunque «un nesso di reciprocità» – o sinallagma [da σvυαλλαττω (synallatto), legare insieme] – attraverso il quale una parte «trasferisce un diritto da ad un’altra o si obbliga ad effettuare una prestazione a favore di questa, in quanto a sua volta l’altra parte effettua o si obbliga ad effettuare una controprestazione» (Schlesinger-Torrente). Si tratta appunto di un lavoro di squadra, di una luminosa avventura che costruisce sinergie, punti di contatto, riflessioni, azioni, nuove avventure intellettuali. (testo critico che accompagna la mostra)
«Do Ut Des», a cura di Antonello Tolve, Parallelo 42, Collecorvino (Pescara), 05.11.2014 – 05.02.2015
immagini (cover) Bianco-Valente, Altro spazio, altro tempo, 2012, video, Endless Loop, Musica di Andrea Gabriele, courtesy degli Artisti (1) Convento di San Patrignano, Collecorvino (PE) (2) Devrim Kadirbeyoğlu, Here and Nowhere, 2013-14, installazione, poliestere, robot, pittura, 60x30x23cm, courtesy dell’Artista (3) Luigi Pagliarini, Universi relazionali paralleli, 2014, installazione, acrilico su tela, 30x30cm (cad.), courtesy dell’Artista.
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