Fabrizio Bellomo si muove con disinvoltura tra l’opera implicita, veicolata da immagini foto-video-cinematografiche, installazioni in luoghi pubblici, e la pratica esplicita della scrittura, dove l’artista argomenta i riferimenti teorici che sostengono la sua ricerca. Nel saggio Meridiani, paralleli e pixel, recentemente edito da Postmedia Books, l’autore parla della “griglia come medium ricorrente”. Una teoria che guarda alla fotografia come linguaggio, preferendo quindi riportare l’attenzione alla struttura interna del mezzo e al suo funzionamento, piuttosto che occuparsi dell’aspetto strettamente iconografico, a volte anche estetizzante, che sta appassionando invece molti suoi colleghi.
La tesi sostenuta da Bellomo mette il lettore nella condizione di guardare la fotografia digitale come una delle tappe di un’evoluzione antropologica molto più ampia. L’uomo, desideroso di controllo e dotato di raziocinio, ha sempre suddiviso la realtà in griglie per poterla meglio governare. Meridiani e paralleli dividono in porzioni il globo terreste, così come l’orologio meccanico organizza il tempo. Spazi controllabili, anche se virtualmente. “Forme simboliche” come la prospettiva rinascimentale, direbbe Panofsky. Tra queste griglie Bellomo inserisce anche la fotografia. È questo il cuore del saggio, che si riferisce nello specifico a una serie di opere visive dello stesso autore, ancora in progress, che viene introdotta nel capitolo “il copista di pixel”. L’artista parte da una fotografia formato tessera scaricata dal web, un’immagine digitale che riporta nel file sorgente il riferimento numerico a ogni singolo colore visualizzato. Bellomo, con la perizia di un copista, riporta su un comune foglio a quadretti i numeri a quattro cifre corrispondenti. Risultato: sul foglio di carta si continua a intravedere il viso della persona ritratta nella fotografia. Questo significa che qualsiasi immagine digitale è governata da un codice, favorita quindi da una griglia sottostante, una struttura ossea fatta di numeri che può convertire un linguaggio in un altro.
“Io neanche lo vedo più il codice”, recita uno dei capitoli del saggio citando una scena del film Matrix, a sottolineare la nostra graduale trasformazione in macchine. Bellomo, infatti, immagina la fotografia digitale come una “macchina matematica” capace di frammentare lo spazio e il tempo, diversa per molti aspetti da quella analogica. Quest’ultima non produce alcuna griglia, come invece accade alla fotografia digitale. Nell’immagine analogica, infatti, non si possono rintracciare coordinate equivalenti al reticolo di meridiani e paralleli della cartografia. Questo passaggio si verifica secondo Bellomo solo con l’avvento dei pixel. Parafrasando l’autore: l’immagine digitale non è altro che quella analogica inglobata dal linguaggio dei media informatici. E dicendo questo Bellomo tocca un tema ancora caldo del dibattito teorico sulla fotografia, all’interno del quale il lettore saprà orientarsi e prendere posizione.
Luca Panaro
Fabrizio Bellomo, Meridiani, paralleli e pixel. La griglia come medium ricorrente
Postmedia Books, Milano 2017
immagini: (cover 1) Fabrizio Bellomo, Senza titolo, 2015-2017, Courtesy l’artista; Metronom, Modena, dettaglio (2-3) Fabrizio Bellomo, Senza titolo, 2015-2017, Courtesy l’artista; Metronom, Modena