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Stefano Cagol, Dissoluzione di Luce, light box su duratrans, 100 x 150cm, Premio Terna 02 (categoria Megawatt)
Stefano Cagol nasce a Trento nel 1969. Attualmente vive e lavora tra Trento e la Norvegia. Si è formato all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano ed ha proseguito gli studi con un progetto di post-dottorato in Canada alla Ryerson University di Toronto. Le duplici origini altoatesine segnano il campo e la modalità della sua ricerca. In quanto uomo di frontiera, infatti, partendo dalla sua terra indaga i limiti fisici e mentali in continua evoluzione, facendo dei suoi lavori strumenti di attraversamento e di congiunzione di realtà distanti. «Il confine pone a confronto, condiziona e stimola le idee soprattutto per la morfologia stessa della montagna intervallata da vallate», suggerisce Cagol. Artista cosmopolita per vocazione, ristabilisce, attraverso il processo creativo, la relazione tra i luoghi e la storia, proiettando Paesi e culture verso il futuro e superando i consueti limiti culturali e spazio-temporali.
Le sue installazioni, opere di arte pubblica, le performance e i video costellano territori nazionali ed internazionali: sono state presentate al MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, al Museion – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano, al ZKM di Karlsruhe, al Laznia di Danzica, al MARTa di Herford e alla Platform a Londra. Ha partecipato alla 54a. e alla 55a. Biennale d’Arte di Venezia, alla 4. Biennale di Berlino (special event), alla 1. Biennale di Singapore (satellite project). Tra i premi, ha vinto il VISIT 2014 della RWE Foundation in Germania, il Premio Francesco Fabbri (menzione speciale), il concorso Martino Martini di Mezzolombardo, il concorso A22 – Autostrada del Brennero a Trento, il premio Targetti Art Light, il premio Murri Public Art. Ha ottenuto diverse residenze presso l’USF di Bergen (Norvegia), il Drake Arts Center a Kokkola (Finlandia) a Viafarini a Milano, al BAR International by Pikene på Broen a Kirkenes (Norvegia), ISCP – International Studio and Curatorial Program a New York, presso il Leube Group’s Art Program a Gartenau, al Künstlerhaus a Salisburgo. Ha ricevuto inoltre una borsa di studio presso l’ICP – International Center of Photography di New York. Attualmente è impegnato in un progetto nomadico della durata di sei mesi supportato dalla RWE Foundation (Germania) nell’ambito del Premio VISIT 2014.
Dissoluzione di luce, opera vincitrice del Premio Terna 02 nella categoria Megawatt, è un light box che restituisce l’immagine dell’installazione luminosa realizzata per il Parallel Event di Manifesta 7 a Trento, ossia un potente fascio di luce orizzontale di 15 Km lanciato nel cielo della città di Trento «una perfetta metafora di confini da superare: i confini tra culture, tra convinzioni, tra momenti storici, tra uomo e natura, tra passato e innovazione».
Quale è lo stato dell’arte oggi in Italia? Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
L’Italia non sta credendo pienamente nei suoi artisti. Manca un supporto per la produzione e un sostegno alla promozione dei lavori all’estero, tanto che la nostra immagine a livello globale è alquanto debole. Inoltre, in questo momento le nostre Istituzioni soffrono la mancanza di fondi. La politica in crisi, continua, sbagliando, a tagliare soprattutto la cultura, quando sappiamo benissimo che la cultura, quanto mai per l’Italia, è una risorsa imprescindibile. Al tempo stesso l’arte contemporanea in questo momento è sicuramente più condivisa e matura. E’ anche diventata di moda. Sono molti i giovani affascinati che si spingono sempre addentro a quest’avventura.
Viene però applicata una certa standardizzazione nella preparazione e sempre più bisogna guardare alla formazione in università straniere come soluzione per riuscire. In realtà non è certo una strada semplice. Si sta delineando un fenomeno sicuramente nuovo: i curatori moltiplicati stanno diventando numerosi quanto lo sono gli artisti.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. E’ quello che sta accadendo davvero?
In parte questa previsione è corretta. Alcune realtà dell’arte si stanno impegnando in questo senso. Io, per primo, credo in un’arte sicuramente più concreta, che guarda soprattutto ai contenuti, al messaggio. L’arte così assume ruolo significativo, reale, comunicativo, fortemente simbolico e politico: come dico spesso, l’arte è comunicazione, senza mai tralasciare, per questo l’aspetto estetico.
Ricordi la tua partecipazione al Premio Terna? Stavi lavorando ad un progetto in particolare?
In quel periodo abitavo e avevo lo studio a Bruxelles. Lo studio era un bellissimo garage che abitavamo in Hadelskaai, a due passi da Sainte Catherine. Ero in studio quando ho ricevuto una telefonata che mi annunciava la vittoria. E’ stato un momento molto bello, che ricordo con grande piacere.
Decidere di partecipare è stato in un certo senso semplice per me. Ho utilizzato spesso l’energia come mezzo nei miei lavori. Poco prima avevo realizzato un intervento significativo in occasione dell’opening week di Manifesta 7, tracciando sul cielo di Trento, la mia città, un raggio di luce di molti chilometri, che, passaggio dopo passaggio, disgregava e dissolveva i confini: Light dissolution (of the border).E’ proprio con una foto di quest’opera che ho ottenuto la vittoria del Premio Terna e la residenza presso l’ISCP a New York City.
Nel progetto in cui sei ora impegnato come artist in residence dell’RWE, come prospetti il coinvolgimento dei musei e come guadagnerai da loro la flessibilità che chiedi?
Spero nell’apertura della mente, nell’immediatezza, nella semplicità … In questo caso il coinvolgimento di più Istituzioni è sicuramente facilitato dal supporto finanziario che il progetto riceve dalla Fondazione RWE, quindi viene richiesta una partecipazione che richiede soprattutto entusiasmo! Questo progetto nomade è una sfida interessante, ma anche una metodologia che ho già utilizzato in passato in progetti come Bird Flu Vogelgrippe (2006) e 11 settembre (2009). E’ bello quando si riescono a superare le rigide logiche delle programmazioni istituzionali.
Pensa che proprio in questo momento ti scrivo da un hotel di Amburgo. Infatti sono proprio sulla via per Bergen, Norvegia, dove fra due giorni al Landmak /Bergen Kunsthall terrò il primo evento collegato al progetto che sto iniziano con la Fondazione RWE: The Body of Energy, tutto rigorosamente in progress.
Ci puoi parlare di come è nato e in cosa consiste il concetto di «BE-DIVERSITY»?
BE-DIVERSITY nasce lo scorso maggio ad un simposio a cui ho partecipato: «Critical Ways of Seeing» alla Goldsmiths University di Londra. Si fonda sulla creazione di un neologismo, infatti «be-diversity» fa eco al termine «bio-diversity» enunciando: «nuovi modi di essere e di condividere l’essere: un reclamo e la salvaguardia della peculiarità di essere individuale, in opposizione all’omologazione…». Il progetto è stato caratterizzato da un evento / azione, documentata da un video, che ha battezzato la nascita della nuova parola: una «bandiera» con lettere cubitali è stata srotolata e poi è rimasta esposta per più di un mese presso l’Università nello spazio principale del NAB – New Academic Building.
La nascita della parola ha coinciso con la creazione di una piattaforma di discussione. Anche in questo caso ho utilizzato quindi un metodo sviluppato in occasione del progetto sul cambiamento climatico, The Ice Monolith, per il Padiglione Nazionale delle Maldive all’ultima Biennale di Venezia. A Londra alcuni studenti, curatori e pensatori sono stati invitati a rispondere a tre domande metaforiche relative ai dilemmi collettivi: sono infatti tre FAQ [Frequent Asked Questions] di grande diffusione sulla piattaforma globale Google. Ora le loro risposte segnano una mappa digitale.
I tuoi progetti di ricerca coinvolgono spesso mezzi effimeri. Come ti confronti con il tema della conservazione? Cosa, rispetto a questo [ma anche ad aspetti legati alla presentazione e valorizzazione di opere effimere], potremmo prendere ad esempio da musei come lo ZKM a Karlsruhe con cui hai lavorato diverse volte?
Generalmente l’opera effimera lascia una traccia concettuale, che vive nel ricordo e negli occhi di chi l’ha vista. In ogni caso, attraverso il mio processo di lavoro, l’opera si traferisce radicalmente nella fotografia e nel video, come è avvenuto per la sparizione del blocco di ghiaccio di The Ice Monolith alla Biennale di Venezia, o per il raggio di luce reiterato nell’ambito di The End of the Border per la Barents Art Triennale.
Invece, 11 settembre è un’opera composta da una lista di date significative. Si snoda, si trasferisce e vive su molteplici mezzi, come i LED journal (presentati e ora in collezione presso MART, Kustraum Innsbruck e ZKM), video (come quello alla Other Gallery di Shanghai), grandi stampe (come quella conservata nel mio open studio presso l’officina di via Massimiano a Milano) o post-it di grandi dimensioni (installate sulla vetrata del PAM per Ename Actueel in Belgio). E’ un’opera squisitamente concettuale, ma diventa mutevole e, di volta in volta, site specific.
Comunque in contrapposizione ai progetti ephemerals, ho realizzato anche molte installazioni permanenti, in marmo o acciaio, addirittura monumentali, proprio per ribadire che non ci sono confini nel mio lavoro (tra le altre, ci sono una grande scacchiera in marmo a Bolzano, e Novus Atlas, gigantesca struttura in acciaio in relazione/opposizione con una mappa geografica originale del ‘500, e Tridentum, tre grandi piramidi d’acciaio, metafora dell’origine romana del nome della città di Trento).
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Ho avuto la fortuna di collaborare in numerose occasioni con gli Istituti Italiani di Cultura. A Oslo, Toronto, Londra, Amsterdam, Tokyo, Singapore. Potenzialmente una rete eccezionale. Il problema è che questo tipo di occasioni sono a nate soprattutto dall’iniziativa dei singoli. Quindi manca assolutamente una strategia di promozione all’estero del nostri artisti valevoli, su modello invece del Goethe Institute o del British Council.
Per citare un esempio di successo, direi il Belgio che, soprattutto nella parte fiamminga, investe, crede e sostiene con grandissimo slancio la propria arte contemporanea, ottenendo risultati importanti sulla scena internazionale. Con orgoglio coltivano il grande patrimonio artistico del passato, con la convinzione d’essere detentori di una grande arte anche oggi. Un’arte fiamminga con radici antiche, ma proiettata nel presente e nel futuro. E noi Italiani?
Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta oggi per un artista il Premio Terna nel panorama Italiano e in quello internazionale?
L’opportunità di esser sostenuti in progetti all’estero come la permanenza all’ISCP – International studio & curatorial program di New York e la mostra e viaggio in occasione dell’Expo presso il SUPEC – Urban Planning Exhibition Center di Shanghai sono sicuramente state un importante momento di crescita e di riconoscimento.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del Premio Terna ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Procedere con continuità, con autorevolezza, convinzione e libertà come fatto fino ad oggi. E un futuro padiglione con tutti i vincitori di Terna alla Biennale di Venezia potrebbe essere un’occasione molto interessante …
immagini (cover – 1) Stefano Cagol, Dissoluzione di Luce, Light box, Premio Terna 02 (categoria Megawatt) (2)Stefano, Cagol, 11 Settembre, 2011, labels on window. Ename Actueel: Sediment, Pam, Ename-Oudenaarde, Belgium (3) Stefano, Cagol, THE BODY OF ENERGY, 2014, video, Thermal Camera. VISIT 2014, RWE Stiftung, Essen, D (4) Stefano Cagol, BE-DIVERSITY, 2014, installation, Banner, 9×1 m. New Ways of Seeing, NAB – New Art Building, Goldsmiths University, London, UK (5) Stefano Cagol, THE ICE MONOLITH, 2013, Installation, Ice block Melting, 1400 Kg. Maldives Pavilion, 55th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia, Venice, Italy (6) Stefano Cagol, The End of the Border (of the mind), 2013, Installation, Ray of light, 15 km. Barents Art Triennale, Pikene på Broen, Kirkenes, Norway (7) Stefano Cagol, Novus Atlas, 2012, Permanent public art installation, stainless steel, LED, 300 x 900 x 40 cm, ancient map by Martino Martini, 50 x 70 cm. Martino Martini educational complex, Mezzolombardo, Italy