Testimoni dell’invisibile è il termine con cui Jean-François Lyotard identificava gli artisti come coloro in grado di interagire con l’immateriale e di dargli forma, in occasione della sua storica mostra al Centre Pompidou di Parigi, Les Immatériaux (1985). I Testimoni dell’invisibile ritornano nel progetto di Valentina Gioia Levy, tra i sei invitati alla Biennale di Dakar. Saranno i lavori di Chai Siris (Tailandia), Emo de Medeiros (Francia/Benin), H.H.Lim (Malesia), Stefano Canto (Italia) ad attivare l’immaginazione per materializzare l’invisibile, in particolare quello che si nasconde tra le maglie del tempo che dimentica, dell’informazione, dei moderni codici linguistici che creano continuamente spazi e tempi.
Con He Waits 500.000 Years for this Song, lavoro prodotto per la Biennale con il supporto del Ministero della Cultura Tailandese, Chai Siris, riflette sull’obsolescenza programmata delle tecnologie e quella meno pianificata delle credenze popolari. Lo fa stringendo l’obiettivo sui cinema all’aperto, popolare durante la sua infanzia, poi abbandonato e spesso utilizzato per fini religiosi, sovrapponendosi al rituale della modernità.
Gli arazzi di Surtentures di Emo de Medeiros, tornano all’antica arte tessile beninese per sostituire le tradizionali simbologie dei ricami con i codici linguistici tipici della moderna comunicazione. Invisibili ad occhio nudo, dei microchip in grado di inviare messaggi agli smartphones, trattengono quella parte invisibile del mondo moderno che, attraverso la comunicazione, struttura società e architetture.
Le immagini raccolte dal web di Living Room di H.H.Lim restituiscono in un unico campo di visione città distrutte dai bombardamenti in tutto il mondo. Tradotte in una tappezzeria per rivestire un salotto, le immagini e il loro supporto stendono gli estremi di un paradosso che diventa tale nel momento in cui lo spazio è abitato dai visitatori.
Prodotti di costruzione industriale cari all’ingegneria civile, materiali come cemento e acciaio, nel lavoro di Stefano Canto attraversano i canali percettivi, perdono la loro durezza per condurre in spazi immaginari. Le sculture realizzate per la Biennale di Dakar, costruiscono scheletri di città distrutte. Le loro architetture saranno rivelate dai corpi danzanti orchestrati dalla coreografa Ashai Lombardo Arop che con il movimento ne ridisegnano i profili.
Testimoni dell’invisibile di Valentina Gioia Levy, è un progetto che nasce nell’ambito della Biennale di Dakar, una delle manifestazioni più importanti del continente africano, istituita nel 1989. L’edizione di quest’anno, La Città in un Giorno Blu, è diretta dal curatore svizzero di origini camerunesi, Simon Njami che ha scelto come titolo il verso di una poesia dell’ex presidente senegalese Léopold Sédar Senghor. Njami ha invitato sei curatori internazionali a presentare una selezione di artisti provenienti da varie arie geografiche del mondo.
Testimoni dell’invisibile, a cura di Valentina Gioia Levy, nell’ambito di “La Cité dans un Jour Bleu”, Dak’Art 2016, 12esima Edizione della Biennale di Dakar, diretta da Simon Najami, Museum of African Art – Théodore Monod, Institut Fondamental d’Afrique Noire, Dakar, Sénégal, 03.04 – 03.06.2016
immagini (cover 1) H.H.Lim “Living Room” 2016, installation, variable dimensions (2) Chai Siris “He waits 500.000 for this Song” video installazione, 2016 (3) Emo de Medeiros – Surtenture 09 (…because where the mind wanders is the conundrum of freedom), 2015 200x200cm. courtesy of the artist (4) Vodunaut 3 (Hyperfeeler), Vodunaut 2 (Hypercharger), Vodunaut 1 (Hyperminder), 2015. courtesy of the artist (5) Stefano Canto, Structures” 2016, sculture in cemento e acciaio, dimensioni varibaili. Courtesy of the artist